Sull’Aspromonte verso il Montalto, tra storie di rapimenti e tracce garibaldine di Gian Luca Gasca

download“Qui rubavano la gente”: esordisce così Maria, 92 anni, quando le chiedo di raccontarmi l’Aspromonte degli anni ’80. Oggi però non è più così, e quella dei rapimenti di persona è ormai una vecchia parentesi da dimenticare. Oggi l’Aspromonte è terra di escursionisti alla ricerca di qualcosa di diverso. Me lo racconta Peppe, il presidente del CAI Reggio Calabria, mentre saliamo verso il Montalto, la cima più alta della zona, sotto una fitta nebbia che impedisce la vista di quello che mi viene raccontato come uno splendido panorama a trecentosessanta gradi che spazia dalle montagne al mare. La sera, a confermarmi lo splendido panorama del Montalto è poi Diego, il ragazzo che riparò la Topolino di Paolo Rumiz proprio qui, in Aspromonte. Fa la guida ambientale e il suo lavoro è promuovere questa terra cercando di farla conoscere nelle sue sfaccettature più misteriose e strane.

L’Aspromonte è terra di montanari schivi e poco avvezzi al sorriso. Qui difficilmente riuscirete a parlare con la gente del posto se non siete accompagnati. Al massimo otterrete un mini interrogatorio utile a capire chi siete e cosa o chi andate cercando. Sono terre strane, ma affascinanti a cui bisogna abituarsi gradualmente. Sono le terre dove Garibaldi fu ferito, come racconta la filastrocca. Fu ferito vicino a Gambarie, località turistica che lascia molto perplessi, come anche il mausoleo garibaldino lascia perplessi. Abbandonato al suo destino, dimenticato su una strada secondaria inglobata dall’abusivismo edilizio. “Io cerco di venirci il meno possibile”, racconta Peppe mentre con un po’ di rimorso mi ci accompagna. Lui voleva andare alle cascate vicine al Montalto, ma gli ho fatto cambiare i piani e pare non aver molto gradito la variazione di programma.

Esiste un punto in Italia, un punto oltre il quale il sud diventa il nuovo nord. Nel mio caso questo è successo in Abruzzo. Dall’Abruzzo in giù dire che si vuole andare in Calabria pare quasi follia. “Fai attenzione se vai là, i calabresi sono gente strana” è la frase più frequente, ma capita anche di sentirsi dire “mi raccomando, sguardo basso e non parlare con nessuno”, oppure “non andare li, che la gente non è buona” e, insieme a queste, moltissime altre frasi.
In realtà tutte queste raccomandazioni sul sud che più sud non si può mi hanno incuriosito e stimolato a scoprire questa terra e, devo ammetterlo, i calabresi mi stanno simpatici.
Loro non hanno nessuno più a sud da cui mettere in guardia le persone. Non possono fare altro che vivere con stoico compatimento le voci e le frasi che circolano su di loro ed è proprio in questo che sono un bel popolo.
I calabresi sono in grado di convivere con tante storie, con tante diversità senza mai perdersi d’animo e sfatando di volta in volta le prime impressioni dei viandanti come me che quasi per errore paiono essersi perse in questa terra che profuma di arabo, di greco e di Italia.

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